Dopo la storica sentenza della Cassazioni a Sezioni Unite val la pena chiedersi come sarebbe oggi il divorzio di un calciatore. Molti infatti avranno letto la sentenza della Corte di Cassazione, dell’11 luglio 2018, n. 18287. Molti altri avevano esultato per la sentenza della Cassazione n. 11504 dello scorso 10 maggio 2017, già commentata positivamente dall’Avv. Molfino. Ma oggi, cosa è cambiato veramente? Cosa succederebbe se oggi divorziasse un calciatore famoso? Dovrebbe versare un assegno di divorzio alla ex moglie? Se sì, quanto dovrebbe versare?
Le Sezioni Unite si sono pronunciate sul caso di una coppia che non aveva previsto un assegno di mantenimento. In sede di separazione consensuale, le parti avevano già riequilibrato i loro patrimoni. Nessun assegno di mantenimento, come detto, veniva previsto a favore della ex moglie.
Dopo 5 anni il marito ha chiesto il divorzio e il Tribunale di Reggio Emilia l’ha concesso ponendo a carico dell’ex marito la somma di euro 4000 mensili a titolo di assegno divorzile in favore della ex moglie. La Corte d’Appello, invece, aveva negato il diritto della ex moglie al riconoscimento di un assegno di divorzio.
I giudici di merito non stavano discutendo del divorzio di un calciatore. Anche se nel caso poi giunto in Cassazione v’era un’evidente sperequazione delle capacità economiche in favore dell’ex marito. In ogni caso la moglie viveva in modo agiato e ciò aveva portato a escludere il diritto all’assegno di divorzio.
La donna, ovviamente, ricorreva in Cassazione. Deduceva innanzitutto la violazione dell’art. 5 L. n. 898 del 1970 che è l’articolo dedicato all’assegno di divorzio. Quali erano le ragioni a supporto della moglie?
Ella sosteneva che il criterio della autosufficienza economica non trova alcun riscontro nel testo della norma. Inoltre, non risulta chiaro quale sia il parametro della autosufficienza. L’indice medio delle retribuzioni degli operai ed impiegati? La pensione sociale? Un reddito medio rapportato alla classe economico sociale di appartenenza dei coniugi?
Senza dimenticare che il criterio dell’autosufficienza economica può essere foriero di gravi ingiustizie sostanziali. Si pensi ai matrimoni di lunga durata, ove il coniuge più debole ha rinunciato alla carriera per la famiglia.
Insomma la sentenza della Cassazione del 2017 consegnava ai giudici di merito una eccessiva discrezionalità. Addirittura si era postulato che l’assegno di divorzio non doveva essere concesso se la ex moglie guadagnava più di 1.000 euro al mese. Per molti, la instabilità portata dal vento del nuovo orientamento di legittimità andava mitigata.
Il problema fondamentale è il seguente. L’art. 5 c. 6 stabilisce che l’ex coniuge ha diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi adeguati. (E non possa procurarseli per ragioni obiettive). Ma cosa significa mezzi adeguati? Quali sarebbero i mezzi adeguati per la moglie di un calciatore? E perché non sarebbe in grado di procurarseli?
Secondo le Sezioni Unite la verifica dei “mezzi adeguati” è da effettuare tenuto conto degli altri indicatori dell’art. 5, c.6. Quindi, tenuto conto
– delle condizioni dei coniugi
– delle ragioni della decisione
– del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune
– del reddito di entrambi
– della durata del matrimonio
La sentenza n. 11504 del 2017 aveva sottolineato la necessità di valorizzare l’auto-responsabilità di ciascuno degli ex coniugi. Le Sezioni Unite, invece, hanno stabilito che anche l’autoresponsabilità non può prescindere dalla indagine circa la ripartizione dei ruoli endofamiliari durante il matrimonio.
Cosa significa?
Significa che anche se un coniuge, dopo il divorzio, deve rendersi economicamente autosufficiente, questo non cancella il vissuto della coppia. E’ ben possibile, infatti, che la moglie sia divenuta meno forte economicamente per le scelte prese dai coniugi durante il matrimonio.
L’istruttoria dinanzi al giudice avrà quindi la funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente.
Orbene, tornando al nostro calciatore, la moglie del calciatore ha diritto all’assegno?
Secondo quanto abbiamo appena detto, il Giudice dovrà indagare innanzitutto se vi è squilibrio patrimoniale. In un secondo momento, se lo squilibro patrimoniale è da ricondurre ad una scelta dei coniugi.
Ad esempio, pensiamo alla moglie del calciatore che ha seguito per anni il marito, di Nazione in Nazione, di Squadra in Squadra, rinunciando alla propria professione. Magari persino rinunciando ad una istruzione qualificata, vista la giovane età di molti calciatori e mogli.
In tali casi il Giudice dovrà indagare se il plausibile squilibrio economico derivi da una scelta dei coniugi. Oltre a questo, tuttavia, il Giudice dovrà verificare anche la durata del matrimonio e l’età del richiedente.
Ad esempio: se la moglie del calciatore è giovane e ha capacità lavorativa, ha diritto all’assegno di divorzio?
Si pensi alla moglie nemmeno trentenne che chiede all’ex marito calciatore famoso un assegno di divorzio. Con tutta probabilità non avrà certo diritto all’assegno!
Secondo le Sezioni Unite, la soluzione prospettata è coerente con le legislazioni dei paesi dell’Unione Europea. Anche in Francia e Germania l’assegno di divorzio ha natura perequativo-compensativa. Anche in tali Paesi esso è teso a colmare la disparità economico-patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo.
In questi paesi, tuttavia, è previsto un assegno di divorzio “a tempo”. L’assegno ha una valenza eccezionale ed è caratterizzato dalla temporaneità. Mentre nel nostro sistema normativo no.
E’ vero che obiettivo primario deve essere la pari dignità degli ex coniugi. Ma come spesso accade nel nostro Paese le buone intenzioni finiscono per creare squilibri in senso opposto. Secondo le Sezioni Unite la mancanza del requisito della temporaneità dell’assegno viene colmato, nel nostro ordinamento, grazie alla possibilità di ricorrere al Tribunale per ottenere la revoca (o la riduzione) dell’assegno di divorzio.
Ci permettiamo di dissentire da tale assunto.
Il coniuge condannato a versare l’assegno di divorzio dovrà sempre e comunque adire il Tribunale per chiedere che venga revocato (o ridotto) l’assegno. Dovrà pagare un avvocato divorzista. Dovrà pagare magari un investigatore privato. Passeranno i mesi e nel frattempo dovrà continuare a versare l’assegno. Dall’altra parte troverà un coniuge che magari potrà contare sul patrocinio e carico dello Stato. (Quindi, in sintesi, l’avvocato non lo paga). E magari quello stesso coniuge percepisce reddito ma non lo dichiara.
Insomma, bene che le Sezioni Unite abbiano chiarito quale debba essere la corretta interpretazione della norma. Ora però occorre un intervento del legislatore che modifichi la normativa. Il contributo perequativo a favore del coniuge più debole, salvo giuste eccezioni, non può e non deve essere ad aeternum. Che sia il divorzio di un calciatore famoso, di un avvocato o il divorzio del panettiere, il principio non cambia. L’introduzione di un assegno di divorzio ad tempus è ormai improcrastinabile. A maggior ragione dopo la sentenza della Corte Suprema di Cassazione.
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