L’usucapione di un bene ereditario da parte di un erede è un fenomeno che accade sovente nelle vicende successorie. Può capitare, ad esempio, che un erede abbia abitato o comunque occupato un immobile per molti anni e, all’apertura della successione, ritenga che quel bene sia diventato di sua esclusiva proprietà. Di norma questa presa di posizione non viene accolta favorevolmente dagli altri eredi. Ne consegue, il più delle volte, un contenzioso dagli esiti incerti.
La Suprema Corte di recente si è pronunciata proprio su un caso relativo alla richiesta di usucapione da parte di un erede. Nella fattispecie, si trattava della successione ereditaria di un castello. Alcuni eredi sostenevano che da oltre vent’anni occupavano alcune porzioni del castello di rispettiva pertinenza e ne avevano goduto in via esclusiva. Per tali motivi chiedevano al Giudice di accertare l’intervenuta usucapione di tali quote dell’immobile. Il Tribunale rigettava la loro richiesta.
Ne seguiva un appello. Gli eredi che chiedevano l’accertamento dell’usucapione insistevano nelle loro richieste. Contestavano, inoltre, la violazione del meccanismo di estrazione a sorte nell’assegnazione dei lotti.
La Corte d’Appello disponeva nuova CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) e, all’esito, rigettava nuovamente la richiesta di usucapione del bene ereditario da parte degli eredi richiedenti. Questi ultimi, nonostante la doppia pronuncia contraria, ricorrevano in Cassazione.
La Suprema Corte ha innanzitutto ricordato un saldo principio giurisprudenziale, secondo il quale “in tema di comunione, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso”.
Sempre la Suprema Corte ha sottolineato, tuttavia, come ai fini dell’usucapione sia necessario che il comproprietario estenda il suo possesso in termini di esclusività. Perché ciò avvenga, occorre che il soggetto goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui. Sarà necessario, quindi, provare in giudizio che vi sia la inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”. Non è sufficiente la prova che gli altri si siano astenuti dall’uso della cosa comune.
Come è intuibile, la materia successoria è molto complessa. Per questo è consigliabile effettuare un consulto con un avvocato esperto di diritto successorio. Per una consulenza approfondita sul proprio caso, è possibile fissare un appuntamento con l’Avv. Stefano Molfino ai contatti che si trovano cliccando qui.